La strana coppia ferrarese

di Francesca, viaggiatrice e autrice del Blog
Un mondo intorno – Viaggio Scatto Scrivo

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Immigrata a Milano e ormai votata per inerzia alla ‘michetta’, i sensi mi si illuminano alla vista e al profumo del pane ferrarese, commensale prediletto dei miei primi vent’anni.

Provengo dalla nebbiosa campagna intorno a Ferrara e di ‘coppie’ ne avrò ingurgitate suppergiù 7 quintali, 1 etto al giorno dallo stop agli omogeneizzati fino ai 24 anni, età della dipartita dal borgo natio. Di sicuro non avrò saltato un pasto, neanche quando il menu prevedeva polenta, pasta o risotto. Ignara o noncurante dei danni da eccesso di carboidrati, poco importava.

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La ‘coppia’ ferrarese non ha eguali: due grossi bastoncini di pane attorcigliato che si uniscono al centro e creano un originale connubio di consistenza: croccante lungo i ‘crostini’ e morbida all’incrocio. Pare che il nome ‘coppia’ derivi proprio dalla fusione dei due rotoli di pasta in un amorevole tutt’uno. La sua storia è un misto di verità e leggende: documenti d’epoca narrano che l’eclettico pane venne servito al ricevimento di carnevale nel 1536 alla corte Estense dal ‘capo maggiordomo’ Cristoforo da Messisbugo. Elegante e raffinato consulente di corte, Messisbugo era l’Enzo Miccio del rinascimento: il suo fu un ruolo di prim’ordine sulla scena dei banchetti di corte dell’epoca. Arrivò infatti a scrivere un trattato, pubblicato postumo, intitolato ‘banchetti, composizioni di vivande e apparecchio generale’ contenente il galateo dell’organizzazione delle cerimonie reali, regole per l’utilizzo delle attrezzature da cucina e la disposizione delle pietanze e ben 323 ricette. Un testo che divenne un punto di riferimento per la gastronomia del rinascimento e regalò un posto d’onore a Ferrara nel savoir faire.

Leggende raccontano dell’esistenza delle ‘coppie’ già all’arrivo di Lucrezia Borgia a Ferrara nel 1502, anno in cui divenne sposa di Alfonso I d’Este: si dice che la forma ritorta avrebbe dovuto alludere ai boccoli dell’affascinante cortigiana. Ma i più maligni sono stati lesti ad accampar teorie sulla foggia ‘cornuta’ dei crostini da affibbiare alla mal assortita coppia regale. Al bando le storielle senza sapore, torniamo ai giorni nostri. Dal 2004 il pane ferrarese è diventato IGP: insomma quello vero deve essere prodotto inderogabilmente in provincia di Ferrara e seguire regole ferree tra ingredienti e fasi della lavorazione.

E rimane sempre gradito ospite sulla mia tavola, appena mi riesce di recuperarlo dai forni ferraresi. Quello che trovo in certe panetterie di Milano (o in altre città d’Italia) è necessariamente una fotocopia sbiadita, magari anche buono, certo, ma è un’altra cosa e si indurisce subito mentre il vero ferrarese lo tengo nel sacchetto di carta e i crostini rimangono fragranti una settimana. Perché è il mix di aria, acqua e umidità della pianura ferrarese che ne delinea il carattere, non c’è storia.

***

Ringrazio moltissimo Francesca per aver condiviso il suo racconto e averci fatto “viaggiare” un po’ con la fantasia, portandoci in una meravigliosa città italiana che – sono certa – tutti non vedono l’ora di visitare il prima possibile!

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