Il forno di Carolina. Un racconto di famiglia.

Luigi, Piera, Mario, Franca, Luciano e Francesco.
Quest’ultimo, Francesco, nacque nel gennaio del 1942, quando Carolina aveva 42 anni. La mia età oggi.
Carolina è la mia bisnonna. Grazie a lei il mondo ha avuto in dono mia nonna Franca e successivamente Carla, mia madre. La mia famiglia ha una simbolica struttura matriarcale in quanto i ricordi sono stati custoditi dalle donne e le tradizioni più forti tramandate di madre in figlia. Anche molte caratteristiche spontanee come la somiglianza fisica, il carattere combattivo e l’inclinazione all’anticonvenzionale, a casa mia hanno seguito una linea ereditaria squisitamente femminile. Lo stesso vale per il dono del raccontare e del cucinare. La mia mamma è una scrittrice nascosta e una cuoca sopraffina, erede dell’animo nobile e della mano raffinata di nonna Franca.
La mia bisnonna Carolina era una fornaia. Ecco svelato il salto generazionale. La passione per la panificazione ha saltato due generazioni per arrivare nelle mie mani. Carolina era anche un’abile ricamatrice, cosa che io non sono o non so di essere, non avendo mai provato a disegnare con ago e filo. Ma ho le lenzuola, le camicie da notte e gli asciugamani di lino ricamati dalle sue mani. Quelle meraviglie di stoffa hanno attraversato i secoli per arrivare fin qui e alcuni dei suoi teli, i più semplici, avvolgono oggi il mio pane in lievitazione infondendogli amore materno.
Nella mia fantasia, immagino che i teli raccontino storie all’impasto, proprio come una nonna fa con i nipoti, emozionandolo, nutrendolo fino a farlo lievitare e volare di leggerezza.

Nonna Carolina era una fornaia comune, ovvero non di professione ma gestiva il forno del quale si servivano diverse famiglie del paese, che infornavano a turno le loro “cotte” pagando la nonna con uno o due dei loro pani per ogni cottura. Carolina si occupava della manutenzione del forno, della sua pulizia, dell’accensione e dei turni che le donne del paese dovevano rispettare per cuocere i loro pani una volta a settimana o ogni quindici giorni.

Era proprio la piccola Franca, mia nonna, ad avere il ruolo di messaggera. A passo svelto andava a chiamare le donne all’orario prestabilito, in base ai turni stabiliti da Carolina. Ogni massaia portava il proprio impasto, frutto di una lenta lievitazione partita dal carsènt (una sorta di lievitino), trasportandolo su di un carretto. Ad ogni infornata, sotto l’occhio attento di Carolina, la bocca del forno soffiava fuori una decina di pani rustici, di medie dimensioni, di farina bianca, gialla o nera. Era infatti diffuso, nelle campagne pavesi, l’utilizzo di farina di mais e di segale, mischiata alla bianca. I pani avevano una durata settimanale o addirittura quindicinale ed erano conservati in cesti di paglia, coperti con canovacci, e appesi in alto nelle cucine. Una prelibatezza fragrante da freschi, l’ottimo accompagnamento alle zuppe da raffermi.

Proprio come Franca, corro col cuore gonfio di emozione e di gioia a chiamarvi tutti a infornare il vostro pane della tradizione insieme a me. Come incoraggiamento, inizio io a condividervi la ricetta del mio Pan giald (pane di mais) lievitato col mio personale carsènt (crescente), ovvero il lievito madre che nutro al caldo della mia cucina. Non ho un forno di mattoni alimentato a legna, come quello di Carolina, ma pensando a lei e alle mani calde delle donne che con lei cuocevano le loro meraviglie di farina, spero che anche il mio pane profumi d’amore come i loro.

Al pan al sa da niènt s’l’è fai sensa carsènt.
Un detto tipico del dialetto pavese: il pane non ha sapore se è fatto senza lievito.
In senso metaforico, viene detto anche riferito alla donna per dire che la bellezza fisica di una donna non ha valore se non è accompagnata dalla personalità

***

Ricetta:
Pan giald cul carsènt

Il Pan giald, ovvero il pane giallo, è tipico della provincia di Pavia. Di forma tonda, è un matrimonio riuscito tra farina di mais e farina di frumento, benedetto dall’acqua e adornato di sale. Ha il colore del sole, del grano maturo e dell’oro. E’ un tesoro prezioso, da gustare a piccoli porzioni spezzate con le mani. E’ croccante esternamente e morbido dentro. Inzuppato nel latte del mattino ha l’effetto di un abbraccio caldo. Annegato nelle zuppe, a cena, regala una consistenza di cotone ad ogni morso. Per gli usi più contemporanei, rende colorati stuzzichini e fingerfood esaltando con dolcezza i sapori più sapidi quali ad esempio salumi e formaggi stagionati.
E’ un pane povero e, come tutte le cose semplice, un’enorme ricchezza.

Ingredienti per 2 Pan giald:

  • 350 gr. di farina di frumento – (350 gr se uso carsènt)
  • 200 gr. di farina gialla di mais macinata finemente – (200 gr se uso carsènt)
  • 280 gr. di lievito madre (oppure 25 grammi di lievito di birra fresco o 8 gr di lievito di birra secco)
  • 170 ml acqua
  • 10 gr sale

Procedimento

In una ciotola capiente unisco e mescolo le due farine (di mais e di frumento) creando la fontana al centro, in cui inserisco circa 100 ml di acqua a temperatura ambiente e il lievito madre. Inizio a stemperare il composto di lievito e di acqua al centro e piano piano incorporo il resto delle farine circostanti.
Quando l’impasto risulta abbastanza omogeneo, unisco i restanti 70 ml di acqua nei quali avevo precedentemente disciolto i 10 gr di sale fino.
Termino di impastare sulla spianatoia, fino ad ottenere un impasto soffice che si stacchi facilmente dalle dita. Divido quindi l’impasto in due porzioni equivalenti e do ad ognuna di loro la forma tonda. Dispongo le due palle di impasto su una teglia piana, adagiate su carta da forno.
Pratico due tagli lievi sulla superficie dei due impasti e lascio lievitare per due ore in un luogo riparato da correnti d’aria, possibilmente un po’ umido e ad una temperatura di circa 20°C. Ovviamente, copro le due pagnotte con il telo di Carolina.
Passate due ore, inforno il pane a 200° C.
Dopo 40 minuti la cucina è pervasa dal profumo caratteristico del mais cotto. Attendo che le pagnotte si raffreddino per potermi tuffare nell’oro del loro interno. Assaggio un pezzo staccato con le mani e mi sembra di vedere le donne davanti al forno con le loro pagnotte calde in grembo, sorridenti mentre si scambiano consigli e confidenze. Mi sembra di sentire la voce allegra della piccola Franca che corre a chiamare la prossima “cotta”.

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